Dal 1 al 4 giugno le rappresentanze italiane presso il Comitato di bioetica istituito presso il Consiglio d’Europa (DH-BIO Committee) saranno chiamate a votare la bozza finale del protocollo aggiuntivo alla Convenzione di Oviedo. Per l’occasione, la FISH, Federazione Italiana Superamento Handicap, lancia l’allarme affinché l’Italia si opponga all’adozione di tale protocollo.
Nei giorni scorsi, infatti, la Federazione ha scritto quattro diverse lettere ufficiali al Presidente del Consiglio dei Ministri, Mario Draghi, al Ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, al Ministro della Salute, Roberto Speranza, infine, alla Ministra per le Disabilità, Erika Stefani, attraverso cui la FISH ha espresso profonda preoccupazione circa le discussioni in corso in seno al Consiglio d’Europa. E lo ha fatto subito dopo la campagna lanciata dall’European Disability Forum, l’organizzazione ombrello che difende gli interessi di oltre 100 milioni di persone con disabilità in Europa.
Perché le nuove previsioni contenute all’interno del protocollo aggiuntivo, riguardanti, in particolare, il ricovero in psichiatria e il trattamento involontario sono vietati dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità che è stata ratificata da quarantasei stati membri del Consiglio d’Europa, Italia compresa, ed ora mettono a rischio, più in generale, i diritti umani. Non soltanto. In questo senso, la sua adozione creerà un conflitto giuridico tra gli obblighi degli Stati a livello regionale (Consiglio d’Europa) e a livello internazionale (CRPD), perché in tal modo due diversi standard verranno applicati negli Stati europei che hanno ratificato la Convenzione.
Per questo, la FISH ha scritto ad alcune tra le maggiori istituzioni italiane, attraverso il suo presidente Vincenzo Falabella, «consapevole che l’Italia continuerà a rispettare gli obblighi derivanti dalla ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità. E tuttavia, in questo senso, si rischia di consolidare l’istituzionalizzazione delle persone con disabilità».
Nelle lettere si fa riferimento alle opposizioni al protocollo espresse anche da parte delle maggiori organizzazioni europee che si occupano di diritti umani e dal Comitato delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità e, nel chiederne alle rappresentanze italiane il voto contrario, la FISH ricorda che nel 2019 il Parlamento europeo aveva adottato all’unanimità una risoluzione su come porre fine alla coercizione nell’ambito della salute mentale.
Perché è necessario che le rappresentanze italiane non votino il protocollo aggiuntivo alla Convenzione di Oviedo, e perché in questo caso siamo di fronte a delle vere e proprie violazioni di diritti umani, lo spiega il presidente della FISH, Vincenzo Falabella, in linea con gli ammonimenti che già diversi anni fa ha espresso il Forum Europeo della Disabilità, l’EDF. Così: «La Convenzione di Oviedo si basa sulla biomedicina, il protocollo aggiuntivo, invece, fa entrare il TSO in un processo terapeutico socio-sanitario».
Infatti, continua il presidente della FISH: «il protocollo, così come è stato concepito, giustifica i trattamenti di contenzione, prevede un placement in ogni TSO, non chiarisce se i TSO siano indirizzati soltanto alla cura e al miglioramento delle condizioni di salute e, pertanto, mantiene l’ambiguità esistente tra i trattamenti medici e quelli legati alla sicurezza pubblica». Ed aggiunge: «in tal modo, si rischia di aumentare la coercizione. Perché i paesi che hanno adottato una legislazione simile sul trattamento e il collocamento involontario, sancita nella bozza di protocollo aggiuntivo, hanno visto un aumento della coercizione in psichiatria».
Poi conclude così, Falabella: «Il protocollo contrasta, in particolare, con l’articolo n.12 della Convenzione internazionale delle Persone con disabilità, laddove si prevede l’eguale riconoscimento di fronte alla legge delle persone e dove gli stati che l’hanno ratificata riconoscono che le persone con disabilità godono della capacità legale su base di eguaglianza rispetto agli altri in tutti gli aspetti della vita; assicurando, inoltre, che le misure relative all’esercizio della capacità legale rispettino così i diritti, la volontà e le preferenze della persona».
Tutto ciò che non riconosce, insomma, quel protocollo di cui si chiede, ora, la eliminazione e per cui in tutta Europa le principali associazioni che si occupano di diritti umani sono pronti a dare battaglia.