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Per troppo tempo i bambini e le bambine con disabilità sono stati invisibili nelle statistiche

I bambini e le bambine con disabilità nel mondo sono circa 240 milioni. A differenza dei loro coetanei senza difficoltà motorie, psicologiche, cognitive o funzionali, si vedono negato od ostacolato il godimento dei propri diritti fondamentali. Proprio per far luce sulle loro condizioni di vita e necessità l’Unicef ha stilato, con l’aiuto di altri organismi internazionali e di associazioni di persone con disabilità, un report dal titolo Seen, Counted, Included. Questo rapporto contiene informazioni raccolte da più di cento paesi, indagando un totale di sessanta criteri di benessere come, ad esempio, nutrizione, accesso alle cure, vita soddisfacente o la condizione di felicità, basati a loro volta sui diciassette obiettivi espressi nell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, che  ha come suo cardine fondamentale il principio di “non lasciare indietro nessuno”. I risultati pubblicati nel novembre del 2021, ci mostrano una realtà critica e che richiede un intervento immediato.

I bambini con disabilità hanno minore probabilità di ricevere la somministrazione di vaccini, ed hanno al contrario una  maggiore chance  di  essere affetti da malattie respiratorie o febbre, senza aver accesso a cure giuste od immediate. Come tutti i bambini, anche quelli con disabilità hanno diritto ad una nutrizione costante, corretta e sana, ma nella realtà hanno meno possibilità di ottenerla.

Secondo le indagini, i bambini con disabilità hanno circa il 34% in più di eventualità di sviluppare il rachitismo. Quando poi il Fondo Onu per i Bambini passa ad analizzare i dati riguardanti il godimento effettivo di altri diritti umani da parte dei bambini con disabilità, la situazione non appare più rosea. Per esempio, i dati sul diritto ad un ambiente famigliare accudente, amorevole, sicuro e protettivo, che garantisca “un inizio di vita buono” e cure adatte, ci mostrano che i bambini con disabilità sono statisticamente meno esposti ad interventi di “stimolazione precoce” o di “responsive care”, la cui mancanza può avere effetti negativi gravi sullo sviluppo dei bambini che ne sono colpiti. Per esempio, i bimbi che non hanno accesso a questo tipo di contesto, familiare oppure sociale, hanno difficoltà nell’imparare a leggere e a scrivere. Rispetto ai loro coetanei senza disabilità, i bambini e le bambine presi in esame hanno una minor possibilità di accedere alle scuole per l’infanzia, ed è minore la probabilità che ricevano un’educazione scolastica di ogni tipo (precisamente  il 49% in meno).

I bambini con disabilità sono più a rischio di subire violenze o abusi negli ambienti che invece dovrebbero proteggerli ed aiutarli a crescere. Analizzando il diritto ad una vita felice o soddisfacente, libera dalle discriminazioni, è  risultato che tra i bambini e gli adolescenti con disabilità molti sono quelli che si definirebbero infelici o insoddisfatti. A quanto pare, hanno il 51% di probabilità in più di sentirsi depressi ed il 20% in meno di vedere migliorate le loro condizioni di vita. Impressionante è il dato relativo alla difficoltà che hanno i bambini con disabilità ad avere accesso a servizi che forniscono acqua sicura, infatti solo il 57% di loro può  avere a disposizione dell’acqua, mentre a parità di condizioni e luoghi tra i bambini senza disabilità coloro che ne possono usufruire sono il 64%.

Questo rapporto dell’Unicef, ha lo scopo di gettare una luce su questi dati e la realtà che essi descrivono. Anche se è vero che una analisi quantitativa del godimento di questi diritti non ci spiega i vari perché di questa realtà, sono sicuramente un buon punto di partenza, che  può incoraggiare a compiere una indagine più approfondita, o meglio di tipo qualitativo.

Per molto tempo, nonostante si fosse a conoscenza che la raccolta dati (a livello internazionale e nazionale) sia uno strumento essenziale e fondamentale per assicurare il concreto benessere delle persone con disabilità (oltre che un obbligo legale), le differenze nei criteri utilizzati per includere o meno i dati nella ricerca, la mancanza di strumenti e risorse adatte, creavano un ostacolo quasi insormontabile al compimento di questo dovere da parte degli Stati. Si pensi al fatto che per molto tempo ci si basava sulla concezione medica di disabilità, improntata sulla diagnosi, più che sulle difficoltà funzionali che essa causava. Non partendo quindi dalla definizione di disabilità come nascente dal rapporto tra persona con difficoltà e ambiente in cui vive, si andava ad escludere dalla raccolta dati quelli emergenti da molte persone con disabilità. Stesso effetto aveva il non considerare come persone con disabilità coloro che hanno problemi di tipo psicologico.

Tenendo a mente ciò, si capisce perché questo report rappresenti una svolta nell’ambito delle procedure di raccolta e monitoraggio internazionale dei dati sulle persone con disabilità. Per realizzarlo l’Unicef, in collaborazione con il Washington Group on Disability Statistic, ha sviluppato “The Child Functioning Model”, che va ad indagare persone con disabilità in una fascia di età tra i due e i diciassette anni. Esso ha lo scopo di raccogliere dati su bambini e adolescenti con diverse “difficoltà funzionali” prevedendo due set di domande, che non riguardano solo le difficoltà sensoriali, fisiche e cognitive, ma anche quelle psico-sociali che il bambino affronta. Si può certamente definire un “modello di indagine” che si basa sulla concezione bio-pisco-sociale di disabilità, descritta nella Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute.

 

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