Lasciano perplessi gli interventi di blasonati quotidiani su temi delicati e complessi quali il diritto al lavoro delle persone con disabilità quando raccolgono un solo punto di vista e non effettuano un minimo di verifica sui dati e sulle fonti.
È il caso dell’articolo di oggi su La Repubblica (Jobs Act e assunzione disabili mano libera alle imprese di Valentina Conte).
Il pezzo è incentrato sulla contestazione della misura contenuta in uno dei decreti attuativi del Jobs Act che prevede la possibilità per le aziende di rispettare gli obblighi di assunzione delle persone con disabilità ricorrendo alla chiamata nominativa, opportunità già riservata ad alcuni datori di lavoro (fra i quali i sindacati e le aziende fra i 15 e i 35 dipendenti).
Secondo i detrattori, le aziende ne approfitteranno per assumere le persone con disabilità meno grave.
Non un riferimento al fatto certo che nel 2013, a fronte di 676.775 iscritti alle liste di collocamento (Legge 68), ci sono stati solo 18.295 avviamenti a cura dei servizi per l’impiego e che nello stesso periodo vi sono state 5.538 risoluzioni del rapporto di lavoro. Sempre nel 2013 rimangono disponibili almeno 40.000 posti di lavoro non occupati. (Fonte: Settima relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della Legge 12 marzo 1999, n. 68 “Norme per il diritto al lavoro dei disabili”. Anni 2012-2013)
“I numeri, dietro i quali ci sono sempre le persone e le loro vite, dimostrano che l’incontro fra domanda e offerta non funziona, che i servizi per l’impiego non dispongono di strumenti sufficienti per una inclusione basata sulle potenzialità delle singole persone, che le aziende continuano a ritenere un balzello assumere una persona con disabilità”, osserva Vincenzo Falabella, Presidente della Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap.
Ciò riguarda in modo particolare le persone con disabilità intellettiva e grave.
“La proposta ripresa all’interno del decreto delegato è il frutto di una riflessione condivisa e approfondita all’interno dell’Osservatorio Nazionale sulla condizione delle persone con disabilità, istituito presso il Ministero del Lavoro e a cui afferiscono associazioni, regioni, sindacati, enti pubblici… Una idea che tende a rimuovere ogni scusante all’inclusione lavorativa delle persone con disabilità, a rivisitare i percorsi e gli strumenti di sostegno e mediazione e, appunto, a far incontrare la domanda e l’offerta mantenendo saldamente gli obblighi e gli incentivi (che riguardano soprattutto le persone con più grave disabilità), ma superando anche alcuni limiti che si sono rivelati un boomerang per gli stessi intenti della norma.”
Quel passaggio del decreto attuativo del Jobs Act, quindi, va in direzione diametralmente opposta a quella semplicisticamente delineata da La Repubblica, oltre a rappresentare un punto di partenza per ricostruire percorsi che, alla prova dei fatti, si sono rivelati largamente fallimentari.
“Le soluzioni si cercano non arroccandosi nella difesa ideologica di totem, organizzativi peraltro, ben poco funzionali, ma tentando di aggredire il fenomeno conoscendolo approfonditamente e ricorrendo a formule complessive più efficaci. Le persone con disabilità hanno diritto di lavorare.”