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Povertà e impoverimento

Cosa sappiamo del fenomeno

La presenza di una o più persone con disabilità all’interno del nucleo familiare rappresenta una delle principali cause di impoverimento. L’assenza di un’occupazione o le difficoltà di accesso al mondo del lavoro; gli elevati costi sociosanitari; le carenze dei servizi di assistenza; il sovraccarico per le famiglie che ricorrono al mercato privato o internalizzano la funzione di cura, con conseguenze significative sul percorso lavorativo dei caregiver: sono tutti fattori che incidono sul reddito familiare (cfr. anche i nostri Focus sul Lavoro di cura e su Colf e badanti).

Ma di quali dati disponiamo per leggere tale fenomeno?
Ancora pochi. E non sempre aggiornati.

L’ISTAT annualmente produce un Report sulla povertà in Italia, ma al suo interno non troviamo dati specifici sulla condizione delle persone con disabilità e/o confronti col resto della popolazione. I dati specifici, illustrati nel paragrafo “La disabilità e il rischio di povertà” di questo Focus, sono quindi quelli relativi al 2010, contenuti nel Rapporto sulle politiche contro la povertà e l’esclusione sociale, pubblicato nel 2012 dalla Commissione d’Indagine sull’Esclusione Sociale (CIES) del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Commissione, quest’ultima,  istituita dall’articolo 27 della legge 8 novembre 2000 n. 328, le cui attività sono state successivamente trasferite alla Direzione per l’inclusione e le politiche sociali del Ministero, in applicazione delle “Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini” (art. 12, comma 20 del decreto legge del 6 luglio 2012).

I dati più recenti

Nel Report Inclusione sociale delle persone con limitazioni funzionali, invalidità o cronicità gravi l’STAT rileva che, nel 2013, il 45,2% delle persone di 15 anni e più con limitazioni funzionali gravi e lievi, invalidità permanenti o malattie croniche gravi giudica scarse o insufficienti le risorse economiche della propria famiglia, a fronte del 39,3% registrato nel complesso della popolazione residente. Percentuale che sale al 50,1% tra le persone con limitazioni funzionali gravi.

Inoltre, come si legge nel capitolo Disabilità del Rapporto Osservasalute 2016, rispetto alla popolazione nel suo complesso si registra una maggiore difficoltà delle famiglie con persone con disabilità a soddisfare i bisogni sanitari per motivi economici.
Gli indicatori considerati evidenziano, infatti, differenze notevoli tra persone con e senza limitazioni funzionali nell’accedere a una visita medica o a un trattamento terapeutico per ragioni economiche, nell’affrontare spese mediche, nel sottoporsi a cure odontoiatriche: indicatori che mostrano, a livello nazionale, uno scarto tra chi ha una limitazione funzionale e chi no rispettivamente di circa 10, 11 e 14 punti percentuali.
Le condizioni peggiori si riscontrano nel Meridione, dove si calcolano quote di oltre il 15-20% di persone con limitazioni funzionali che dichiarano di aver dovuto rinunciare per motivi economici alle prestazioni sanitarie, alle cure e alle visite mediche di cui avevano bisogno.

Di seguito viene proposto un quadro sintetico della povertà in Italia e successivamente illustrati i dati ad oggi disponibili sull’entità del fenomeno in relazione alle persone con disabilità.

La povertà in Italia

Nel 2018 la povertà assoluta in Italia coinvolge il 7,0% delle famiglie e l’8,4% degli individui residenti, rimanendo sostanzialmente stabile rispetto al 2017, ma confermando i valori più alti mai registrati dall’inizio della rilevazione (anno 2005). Essa riguarda 1 milione e 822 mila famiglie, nelle quali vivono 5 milioni e 40 mila persone, di cui 1 milione e 260 mila minori.

L’incidenza della povertà assoluta è maggiore tra le famiglie più numerose (raggiunge il 19,6% tra quelle con 5 o più componenti), e soprattutto tra quelle con figli minori (dal 9,7% delle famiglie con un figlio minore al 19,7% di quelle con 3 o più figli minori). Ma è in crescita anche tra le famiglie monogenitoriali (dal 9,1% del 2017 all’11,0% del 2018). Diminuisce all’aumentare dell’età del capofamiglia (dal 10,4% delle famiglie con persona di riferimento di 18-34 anni al 4,7% di quelle con persona di riferimento di 65 anni e più). Si riduce al crescere del titolo di studio (attestandosi al 3,8% nelle famiglie in cui la persona di riferimento ha conseguito almeno un diploma). Appare associata alla condizione professionale (raggiungendo il valore massimo tra quelle famiglie in cui la persona di riferimento è in cerca di occupazione 27,6%). Risulta al di sotto del valore medio tra le famiglie di soli italiani (5,3%), mentre si attesta al 25,1% per le famiglie con almeno un componente straniero (arrivando al 27,8% per le famiglie composte esclusivamente da stranieri).
L’incidenza delle famiglie in povertà assoluta si conferma notevolmente superiore nel Mezzogiorno (9,6% nel Sud e 10,8% nelle Isole) rispetto alle altre ripartizioni geografiche (6,1% nel Nord-Ovest e 5,3% nel Nord-Est e nel Centro)
Infine, nel 2018 l’intensità della povertà assoluta, che misura, in termini percentuali, quanto la spesa mensile delle famiglie povere è mediamente al di sotto della linea di povertà (ossia l’indicatore di “quanto poveri sono i poveri”), si attesa al 19,4% (era al 20,4% nel 2017).

Le famiglie in povertà relativa nel 2018 sono 3 milioni e 50 mila famiglie (l’11,8% delle famiglie residenti), per un totale di 8 milioni e 987 mila individui (il 15,0% dell’intera popolazione): valori in calo rispetto alla precedente annualità ma con dinamiche diverse nelle varie ripartizioni geografiche, che vedono un peggioramento del fenomeno al Nord.

L’incidenza della povertà relativa è maggiore tra le famiglie più numerose, raggiungendo il 32,7% tra quelle con 5 o più componenti, e sale al 33,1% tra le famiglie con 3 o più figli minori. Ma è in crescita anche tra le famiglie monogenitoriali (dal 15,2% del 2017 al 18,8% del 2018). Fa registrare valori superiori alla media tra le famiglie in cui la persona di riferimento ha meno di 55 anni. È più alta nelle famiglie in cui la persona di riferimento ha un più basso livello di istruzione (19,7% tra chi non ha nessun titolo di studio o ha la licenza di scuola elementare). E tra quelle in cui il capofamiglia è in cerca di occupazione (37,5%). È decisamente più elevata nelle famiglie dove sono presenti stranieri (30,o%, che sale al 31,7% per quelle di soli stranieri), a fronte del 10,0% registrato fra le famiglie di soli italiani.
L’incidenza della povertà relativa fa registrare i valori più alti tra le famiglie che risiedono nel Sud e nelle Isole (22,1%, pur in calo rispetto al 2017 quando si attestava al 24,7%).
L’intensità della povertà relativa nel 2018 resta sostanzialmente stabile (24,3% vs 24,1% del 2017).

(Fonti: ISTAT, “La povertà in Italia. Anno 2018”, giugno 2019)

Il rischio di povertà ed esclusione sociale

Nel 2016, si stima che in Italia il 20,6% della popolazione sia a rischio di povertà; il 12,1% si trovi in condizioni di grave deprivazione materiale; il 12,8% viva in famiglie caratterizzate da una bassa intensità di lavoro. Tutti valori in crescita rispetto all’anno precedente, quando si calcolavano, rispettivamente, al 19,9%, all’11,5% e all’11,7%.
Complessivamente, si stima che 18.136.663 persone, pari al 30,0% della popolazione residente nel nostro Paese, sia a rischio di povertà o esclusione sociale, ossia si trovi in almeno una delle tre condizioni citate. Tale valore evidenzia un peggioramento rispetto all’anno precedente, quando risultava pari al 28,7%.

Significative risultano le difformità territoriali: circa la metà dei residenti nel Sud e nelle Isole (46,9%) è a rischio di povertà o esclusione sociale, contro il 25,1% del Centro, il 21,0% del Nord-Ovest e il 17,1% del Nord-Est.

A livello europeo, tra il 2015 e il 2016 il rischio di povertà o esclusione sociale diminuisce, passando dal 23,8% al 23,5% della popolazione, ma cresce per Romania, Lussemburgo e Italia.
Il dato italiano (30,0%) si mantiene inferiore a quelli di Bulgaria (40,4%), Romania (38,8%), Grecia (35,6%), Lettonia (30,9%). Ma risulta di molto superiore a quelli registrati in Francia (18,2%), Germania (19,7%) e Gran Bretagna (22,2%) e di poco più alto rispetto a quello della Spagna (27,9%). I Paesi con il livello più basso dell’indicatore sono Repubblica Ceca (13,3%), Finlandia (16,6%), Paesi Bassi e Danimarca (entrambi 16,7%).

(Fonti: ISTAT, “Condizioni di vita e reddito”, dicembre 2017)

Se si confrontano gli indicatori relativi al rischio di povertà prima e dopo i trasferimenti sociali (pensioni escluse), è possibile trarre, anche in chiave comparativa, indicazioni riguardo l’efficacia complessiva di alcune misure di protezione sociale. Il confronto tra i due indicatori (prima e dopo i trasferimenti) permette, infatti, di quantificare la quota di popolazione che attraverso il sistema di protezione sociale viene messa al riparo dal rischio di povertà.
Il sistema di protezione sociale del nostro Paese è, tra quelli europei, uno dei meno efficaci. E tale risultato è riconducibile alla preponderanza nel sistema italiano della spesa pensionistica che comprime il resto dei trasferimenti sociali. Nel 2014 il tasso delle persone a rischio di povertà si riduceva, dopo i trasferimenti, di 5,3 punti percentuali (dal 24,7 al 19,4 per cento) a fronte di una riduzione media nell’Unione Europea a 27 Paesi di 8,9 punti percentuali.

(Fonti: ISTAT, “Il sistema della protezione sociale e le sfide generazionali”, in “Rapporto annuale 2016. La situazione del Paese”, maggio 2016)

La disabilità e il rischio di povertà

La presenza di una persona con disabilità nel nucleo familiare può essere una delle principali cause di deprivazione. Assenza di lavoro, sovraccarico assistenziale per la famiglia, costi sociosanitari, riflessi negativi sulla carriera lavorativa dei familiari sono, infatti, alcuni dei fattori che possono limitare l’accesso ai beni e ai servizi di cui dispone la maggior parte della popolazione.

Secondo l’indagine ISTAT sul reddito e le condizioni di vita EU-SILC 2010, la deprivazione materiale (colta attraverso le difficoltà a sostenere una serie di spese o al possesso di alcuni beni durevoli) interessa le persone con limitazioni dell’autonomia personale in misura maggiore rispetto al resto della popolazione. Vivono una condizione di deprivazione materiale il 24,7% degli individui con limitazioni gravi e il 19,7% dei non gravi, a fronte del 14,2% delle persone senza limitazioni. Lo stesso si registra nel caso della grave deprivazione, che interessa l’11,9% e l’8,6% delle persone con limitazioni gravi e non gravi, contro il 6,1% di chi non ha limitazioni.

Significative appaiono le sperequazioni territoriali: la percentuale degli individui con gravi limitazioni che vivono in famiglie deprivate raggiunge il 38,6% nel Mezzogiorno, il 20,5% nel Centro e il 15,5% nel Nord, contro valori pari, rispettivamente, al 23%, 12,2% e 8,5% delle persone senza limitazioni.

Il 47,9% delle famiglie con almeno una persona con disabilità dichiara di non riuscire ad affrontare una spesa imprevista, contro il 32,3% delle famiglie senza membri disabili.

Nel 2009, il reddito netto familiare medio delle famiglie con almeno una persona con disabilità è stato pari, in Italia, a 31.660 euro rispetto ai 40.698 euro delle famiglie senza persone con disabilità.

(Fonti: Commissione d’Indagine sull’Esclusione Sociale, Ministero del lavoro e delle politiche sociali, “Rapporto sulle politiche contro la povertà e l’esclusione sociale. Anni 2011 – 2012”, luglio 2012)

Gli anziani non autosufficienti

La condizione di non autosufficienza rappresenta un fattore in grado di aumentare considerevolmente il rischio di povertà delle famiglie. La crescita delle spese destinate alla cura e l’aumento del tempo dedicato all’assistenza informale, con le inevitabili ripercussioni sulla partecipazione al mercato del lavoro dei caregiver familiari, sono aspetti che incidono direttamente e indirettamente sul reddito familiare. Inoltre, poiché tali aspetti non sono tra loro escludenti ma possono risultare compresenti all’interno di una stessa famiglia, una duplice riduzione del reddito, causata sia da un incremento delle spese di cura che da una riduzione o perdita del lavoro, può far scivolare il reddito familiare al di sotto della soglia di povertà.

Se le statistiche ufficiali ci dicono che, in termini comparativi, gli anziani sono meno esposti al rischio di impoverimento rispetto ad altre fasce di popolazione, la duplice condizione di anziano e non autosufficiente può invece rappresentare un elevato fattore di rischio.

Gli anziani non autosufficienti presentano una probabilità di vivere in una famiglia con un reddito al di sotto della soglia di povertà maggiore rispetto al resto della popolazione anziana. E la crisi economica ha ulteriormente aumentato tale probabilità.
Inoltre, il rischio di povertà risulta più marcato nel caso di anziani con un grado moderato di non autosufficienza, poiché essi risultano parzialmente esclusi dal supporto formale, sia in termini di servizi che in termini monetari, rispetto a coloro che si trovano in una condizione medio-grave.
Le spese di cura costituiscono poi un ulteriore fattore di impoverimento della popolazione anziana non autosufficiente.  Esiste infatti una chiara relazione tra l’aumento dell’incidenza delle spese di cura e il rischio di povertà. Tanto che le famiglie di over 65 con un’incidenza delle spese di cura sul reddito familiare superiore al 20% presentano una probabilità doppia, o addirittura più elevata, di vivere in una famiglia con un reddito inferiore alla soglia di povertà rispetto alla popolazione di riferimento.

Se l’aiuto informale da parte dei propri familiari, al pari dei servizi formali, rappresenta un elemento di protezione dal rischio di impoverimento degli anziani, la condizione di non autosufficienza rappresenta però un ulteriore elemento di trasmissione delle diseguaglianze di reddito tra genitori e figli. In particolare, per i caregiver familiari (figli adulti di 50-64 anni) che prestano ai genitori cure ad alta intensità la probabilità di vivere in una famiglia con un reddito al disotto della soglia di povertà raggiunge nel 2012 il 60%, probabilmente anche a seguito della crisi economica.

(Fonti: Network Non Autosufficienza (a cura di), “L’assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia. 5° Rapporto. Un futuro da ricostruire”, novembre 2015)

La condizione economica dei malati oncologici

Malgrado l’universalità dell’accesso alle cure del Servizio Sanitario Nazionale, le persone con diagnosi tumorale e i loro familiari devono sostenere spese significative, che per oltre due terzi dei casi incidono molto o abbastanza sulla propria condizione socio-economica.
Si tratta di costi diretti, di tipo medico (per visite specialistiche, farmaci, ecc. che non sono coperti dal SSN) e non medico (trasporti, ecc.), e di costi indiretti, fatti di redditi da lavoro mancati, ma anche e soprattutto da servizi di cura prestati dai caregiver.

Il costo sociale totale ascrivibile a tutte le persone con diagnosi di tumore da almeno cinque anni e ai loro caregiver è pari a 36,4 miliardi di euro annui, di cui oltre 5,8 miliardi di spese dirette e oltre 30 miliardi di costi indiretti, tra i quali oltre 12 miliardi sono il valore monetario delle attività di assistenza e/o sorveglianza erogate dal caregiver.

I costi indiretti risultano la componente più rilevante della spesa, che pesa per quasi l’84% del costo sociale totale, al loro interno a contare in modo decisivo è l’assistenza prestata dai caregiver, che incide per il 34% del totale dei costi sociali. Importante è anche la perdita di reddito che subiscono sia i pazienti (tale voce pesa per oltre il 29% sul totale), che i caregiver (tale voce pesa per il 17,7%).

Se consideriamo congiuntamente ai costi sostenuti anche le entrate percepite (dall’indennità di accompagnamento agli assegni di invalidità), queste ultime sono pari a 1,2 miliardi di euro annui per le persone con diagnosi di tumore da almeno 5 anni (per una media di 1.000 euro l’anno), pari a poco più del 3% del costo sociale totale.

Esiste pertanto uno squilibrio tra costi sociali sostenuti da pazienti e caregiver (che in otto casi su dieci sono familiari) e strumenti monetari di supporto alla persona, con un’incidenza economica significativa sul bilancio familiare.

(Fonti: Osservatorio sulla condizione assistenziale dei malati oncologici, “4° Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici”, maggio 2012)

Una più recente ricerca sul tema conferma che per il 64,3% dei malati oncologici il complesso delle spese sostenute nell’ultimo anno ha inciso molto o abbastanza sul bilancio familiare. Si pensi alla compartecipazione alla spesa sanitaria pubblica, ma anche alla spesa privata per l’acquisto di prodotti e servizi non coperti dal Servizio Sanitario Nazionale. All’interno della spesa privata, una voce significativa (non medica) è quella relativa ai costi di trasporto e di vitto/alloggio in caso di spostamento, in gran parte dovuti al fenomeno della “migrazione sanitaria” per cure non disponibili nella propria area di residenza.
L’incidenza delle spese sostenute sul bilancio familiare ha reso necessario modificare le abitudini di spesa. La maggior parte dei malati ha considerevolmente ridotto le uscite per viaggi, vacanze, cultura, benessere e sport. E il 24,6% ha dovuto rinunciare o ridurre l’acquisto e l’uso di ausili o cure a pagamento. Si tratta di farmaci non coperti dal SSN (15,8% dei rispondenti), spostamenti legati alle necessità di cura (11,2%), visite o accertamenti (9,2%), trattamenti riabilitativi (7,8%), supporti assistenziali a pagamento (7,4%), dispositivi e protesi (5,3%) e interventi chirurgici (4,8%).

Per il 49,8% degli intervistati la famiglia ha subito una riduzione del reddito complessivo (non solo derivante dal lavoro), di importo medio pari al 39,5% (è del 29% per coloro che lavorano).

Anche i caregiver dichiarano di avere subito una contrazione del proprio reddito, le cui cause vengono imputate principalmente alla riduzione del tempo lavorativo (45,1%) o del rendimento lavorativo (29,8%) e ai permessi non retribuiti (13,7%). Quanto alle spese sostenute, si è trattato per il 55% dei caregiver di costi di trasporto, per il 27,8% di alimenti, per il 12,9% di assistenza domiciliare, per il 9,5% di supporto psicologico.

I benefici di cui i malati di cancro possono usufruire sono per il 14,5% l’indennità di accompagnamento; per l’11,7% l’assegno di invalidità assistenziale, per l’8,1% una pensione di inabilità assistenziale. Per il 4,0% si ricorre invece all’aiuto di parenti e amici.

(Fonti: Osservatorio sulla condizione assistenziale dei malati oncologici, “11° Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici”, maggio 2019)

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