Disabilità e abbandono: “Scelgo la morte e vi lascio l’amore”

Loris BertoccoQuando una persona con una fortissima voglia di vivere, protagonista di un lungo e straordinario impegno civile, lucidissima, ragionevole ed obiettiva decide di porre fine alla sua esistenza con dignità e determinazione, l’impatto sulle coscienze non può che essere sconvolgente. Lo è per chiunque, ma lo è ancora di più per il movimento delle persone con disabilità, visto che Loris Bertocco era uno di noi.

Loris, veneziano, prima tetraplegico poi cieco, al termine di una disperata battaglia ha preso la via, già percorsa da altri, della Svizzera scegliendo di porre fine alla propria esistenza in modo assistito. “Proprio perché amo la vita credo che adesso sia giusto rinunciare ad essa vista la sofferenza gratuita sia fisica che spirituale.”

Ma, coerente fino all’ultimo con un impegno civile che ha vissuto da protagonista per anni, ha lasciato un lungo memoriale, una testimonianza che Loris spera possa “scuotere un po’ di coscienze ed essere di aiuto alle tante persone che stanno affrontando ogni giorno un vero e proprio calvario.”

La vicenda umana di Loris, l’esito della sua esistenza rappresenta una sconfitta ma anche una denuncia fredda ed impietosa dell’abbandono e della solitudine che troppe persone con disabilità vivono nel nostro Paese. Uno scenario in cui istituzioni lente, amministrazioni sorde, politiche inadeguate e distratte, le persone con gravi necessità di supporti intensivi non trovano risposta e, assieme alle loro famiglie, sono costrette all’isolamento e alla perdita della stessa dignità umana.

Nelle ultime parole di Loris troviamo puntuali e non rancorosi resoconti di disagio, difficoltà, ostacoli, porte chiuse, sostegni rifiutati. Responsabilità che verosimilmente rimarranno, ancora una volta, anonime, anche di fronte ad una morte annunciata. Che non sarà né la prima, né l’ultima se questa vicenda non contribuirà a scuotere le coscienze come Loris sperava.

Chi ricopre un ruolo politico o istituzionale, chi è responsabile dei servizi legga il memoriale di Loris e tragga da questa tragica lezione un insegnamento: non siamo una voce di costo, ma persone con dignità umana e con il diritto a vivere in modo non umiliante. E questo diritto umano non si garantisce a parole, ma con un costante e concreto impegno. Da subito.

Memoriale di Loris Bertocco, ottobre 2017

Sono Loris, vi chiedo la possibilità di accompagnarmi in questo percorso e vi racconto la mia storia.

Sono nato a Dolo il 17 giugno del 1958 e nel 1977 frequentavo l’Istituto Tecnico. Il 30 marzo 1977 ho fatto un incidente stradale che avrebbe potuto portare delle conseguenze di poco conto. Un’automobile mi ha investito mentre ero in ciclomotore. In realtà l’incidente ha avuto delle conseguenze molto gravi e nell’impatto c’è stata una frattura delle vertebre C5 C6 e sono rimasto completamente paralizzato.

Sono stato subito ricoverato all’Ospedale di Padova nel reparto di neurochirurgia, dove mi hanno operato immediatamente e lì sono rimasto fino al 16 giugno 1977. Sono stato poi ricoverato nell’Ospedale Civile di Vicenza dove sono rimasto fino al 29 ottobre dello stesso anno. Il certificato che è stato redatto nello stesso Ospedale alle dimissioni attesta una situazione che a parere dei medici era di gravità estrema; si parlava di difficoltà nel potere riacquisire una stazione eretta e dell’impossibilità della deambulazione e quindi di non più autosufficienza. Qualche giorno dopo il mio ritorno a casa il fisioterapista che mi aveva seguito nel primo ricovero in neurochirurgia di Padova, dove mi avevano operato di laminectomia con artrodesi C3 C4 C5, è riuscito a farmi camminare con il suo sostegno e con quello di mio padre per un tratto di circa venti metri. In questo tratto muovevo autonomamente le gambe, anche se spesso tentavano di cedere.

La riabilitazione

Dopo pochi giorni a metà dicembre del 1977 sono stato ricoverato all’Ospedale al Mare di Lido di Venezia. Quando i medici hanno verificato che riuscivo a spostarmi con un aiuto, hanno investito molto sul mio recupero e sono rimasto ricoverato per molti mesi e con brevi interruzioni fino al luglio del 1980. Dopo questo lungo percorso riabilitativo mi alzavo dalla carrozzina facendo leva sul braccio destro o su un appoggio fisso. Camminavo con due stampelle: la parte sinistra funzionava meglio e con quella riuscivo a mangiare da solo e a tenere la stampella, mentre la destra funzionava peggio e non poteva sostenerla autonomamente.

Il ritorno a casa

Al ritorno a casa nel 1980 c’era stato, per fortuna disconfermando in parte la diagnosi iniziale, un considerevole recupero. All’inizio per camminare mi hanno fasciato il braccio destro alla stampella. In seguito con una modifica della stessa mi hanno permesso di poterla usare autonomamente dopo che qualcuno mi aveva aiutato ad agganciarla. Facevo la pipi da solo a letto con un pappagallo appoggiato ad una sedia dal lato sinistro, scoprendomi e coprendomi al bisogno e battendo sulla vescica. Durante il giorno con l’assistenza di familiari ed amici facevo la pipi in piedi o in bagni pubblici con l’assistenza solo di una persona che mi tenesse in equilibrio. Durante il giorno in ospedale usavo sempre la carrozzina quando ero da solo mentre camminavo con l’assistenza di una persona per sicurezza. Una volta ritornato a casa non ho quasi più usato la carrozzina grazie all’aiuto costante di familiari ed amici. Avendo inoltre conservato la sensibilità sia tattile che sensoriale di tutto il corpo riuscivo a controllare, oltre che la pipi, anche la defecazione. Questa era normale in tutte le situazioni tranne nel caso di feci molli, situazione nella quale era più complicato arrivare in bagno.

La nuova caduta

Nel marzo 1982 sono disgraziatamente scivolato mentre camminavo con le stampelle. Inciampando sono scivolato e, avendo il braccio destro bloccato dalla stampella, questa ha fatto da perno e c’è stata una grave frattura all’omero destro e quindi c’è stata la necessità di una operazione per sistemare l’omero. Da quel momento non sono più riuscito a camminare con due stampelle in autonomia ma ho avuto bisogno di una persona che mi fosse di appoggio per tenermi in equilibrio. Avevo da ragazzo imparato a nuotare da solo e ho reimparato nel 1986 grazie all’aiuto di un istruttore di nuoto sportivo per disabili. Visto che il nuoto era una mia grande passione, è stato per me molto importante e una grande conquista riprenderlo. Ho comunque dovuto nuotare a dorso.

Dal 1980 al 1988, facendo ginnastica solo 3 o 4 volte l’anno, i movimenti del corpo erano diventati meno sciolti. Sono stato ricoverato nuovamente all’Ospedale al Mare al Lido di Venezia anche nel 1988 per fare fisioterapia e piscina in modo continuativo. Dopo 45 giorni ho riacuisito una buona parte delle funzionalità motorie che avevo un po’ perso. Anche in questo caso, grazie alle terapie sono riuscito a riacquisire una funzionalità e una abilità motoria che posso considerare sicuramente soddisfacenti, se confrontata con la diagnosi che era stata effettuata a suo tempo nell’Ospedale di Vicenza. Riuscivo a camminare tutti i giorni con il sostegno dei familiari e degli amici per circa 2 Km al giorno e non usavo mai la carrozzina, se non nel caso di necessità estrema, cioè in occasione di spostamenti per lunghi tragitti o per muovermi in città.

L’impegno nelle radio locali

Dal 1985 ho avuto il sostegno anche degli obiettori di coscienza al servizio di leva, che mi sono stati continuativamente affidati dal Comune di Fiesso per 4 ore al pomeriggio dal lunedì al venerdì. Questo aiuto mi è stato dato fino al 2005, anno in cui è stato eliminato il servizio di leva e di conseguenza anche il servizio sostitutivo alla leva. Grazie al loro aiuto sono riuscito per molto tempo a camminare regolarmente e quindi a tenere attiva la muscolatura, a trovare e frequentare gli amici e a muovermi per svolgere varie attività, che mi hanno permesso di mantenere una vita attiva e sociale.

Una di queste, che avevo già cominciato nel 1976 e che poi grazie all’aiuto di mia madre e a quello degli obiettori ho continuato, è stata una trasmissione musicale in una radio locale, Radio Cooperativa. La trasmissione si chiamava “Discorso musica” e sono riuscito a gestirla dal 1980 fino al 1999. In questo periodo, oltre alla trasmissione serale, sempre grazie al sostegno indispensabile e assiduo di mia madre, riuscivo a curare anche in mattinata la rassegna giornalistica e ad invitare dei personaggi pubblici per discutere di argomenti politici, sociali e di attualità. In tutte queste situazioni avevo l’assistenza o di un tecnico o di qualche aiutante ma devo dire che riuscivo comunque a svolgere autonomamente molte mansioni. Questo periodo che ho trascorso in radio mi ha dato moltissime soddisfazioni e mi ha inoltre permesso di avere una vita sociale molto intensa. Frequentavo molte persone, che erano sempre disponibili ad aiutarmi. Spesso intervistavo i musicisti, per poi trasmettere le interviste in radio. Collaboravo inoltre con riviste musicali. Tutto ciò era un grande impegno ma anche una grande soddisfazione per me e per i miei amici. Andavo spesso a vedere dei concerti, sia per aggiornarmi sulle musiche che poi avrei trasmesso in radio che per passare dei momenti gradevoli in compagnia.

I problemi di vista

Delle considerazioni particolari devono essere fatte invece per i miei problemi di vista, che ho avuto fin da quando ero ragazzo. Nel 1969 a 11 anni ho avuto un distacco di retina all’occhio sinistro, per il quale sono stato operato. Il recupero della funzionalità dell’occhio c’è stata, ma il miglioramento è stato molto limitato: l’occhio non ha più acquisito infatti la sua normalità, cosa che non mi ha più permesso di leggere. Nel 1975, inoltre, anche l’occhio destro ha avuto dei problemi: c’è stata una grossa emorragia e il problema è apparso subito grave. Il Rettore di oculistica dell’Università di Roma, Prof. Mario Pannarale, ha diagnosticato una retinite degenerativa con retinoschisi e ha operato l’occhio effettuando un cerchiaggio e un piombaggio dell’occhio con la laserterapia. Il Prof. Mario Pannarale ha incaricato il rettore di genetica dell’Università Tor Vergata Bruno Dalla Piccola di fare un’indagine genetica, dalla quale è emerso che la retinite si trasmette per via ereditaria dalla madre ai figli maschi ( mia sorella ne è infatti esente). Ricordo che dal 1973 al 1977 ho fatto spesso visite di controllo e ho seguito le cure farmacologiche che mi sono state prescritte. Dal 1977 in poi i controlli non sono stati più possibili a causa dell’incidente. Nel 1981 mi è apparsa una macchia e mi sono recato d’urgenza a Roma per controllo. Il Prof. Mario Pannarale ha detto in quella occasione che non era più possibile fare delle cure. Da quel momento in poi c’è stato un progressivo peggioramento della mia vista, fino a che non sono riuscito più a leggere. Dal 1987 sono stato certificato ipovedente; dal 1996 la commissione che mi ha visitato mi ha considerato cieco assoluto.

L’impegno sociale

Tra le cose importanti della mia vita c’è stata anche una notevole sensibilità per i problemi sociali e politici, che ho avuto fin da quando ero studente. Fino a quando ho potuto farlo ho letto un quotidiano tutti i giorni, oltre a riviste e libri. Ho sviluppato questa mia attitudine anche nel lavoro giornalistico che facevo alla radio. Dopo il mio incidente ho sviluppato una particolare sensibilità per i problemi dei disabili (in primis per l’abbattimento delle barriere architettoniche) e per la tutela dell’ambiente e del paesaggio (dopo l’incidente nucleare di Chernobyl). Nel 1990 sono diventato consigliere comunale per i Verdi per alcuni anni nella città di Mira. Negli anni 2004/ 2005 sono stato candidato sia alle elezioni della provincia di Venezia che per le regionali del Veneto. Il mio interesse per la politica continua ancora oggi tramite i social network e organizzando iniziative locali.

I rapporti sentimentali

Una parte importante della mia vita riguarda le mie relazioni sentimentali. Ho avuto varie relazioni affettive più o meno lunghe con donne, con le quali ho effettuato anche viaggi in Italia e all’estero. Con nessuna il rapporto è però diventato così forte da immaginare un legame duraturo. Ciò si è verificato effettivamente nel momento in cui ho conosciuto nel 1996 Anamaria, che poi è diventata mia moglie nel giugno del 1999. Anamaria aveva una sensibilità particolare e il rapporto con lei è stato molto arricchente e positivo. Dopo essersi laureata, lei era arrivata in Italia con una borsa di studio sul cinema, essendo cittadina italo-brasiliana. Anamaria aveva frequentato una scuola di regia con Ermanno Olmi e quando l’ho conosciuta era impegnata in vari lavori cinematografici, che ha sempre continuato con grande passione e dedizione, nonostante tutti i problemi che si è trovata ad affrontare nei periodi successivi. Insieme a lei ho cominciato ad immaginare una vita in comune ma per potere concretizzare questo nostro desiderio è sorta subito l’idea di ampliare e ristrutturare la mia vecchia casa; questo progetto si è potuto realizzare anche grazie all’aiuto dei miei genitori. I lavori sono cominciati quando mio padre era ancora in vita (è venuto a mancare pochi mesi prima del mio matrimonio) e sono continuati anche dopo. La casa è stata terminata nel 2003 ed è diventata una bifamiliare: da una parte ci ha abitato e ci abita mia madre e dall’altra io ed Anamaria. Per pagarla abbiamo dovuto fare un mutuo e quindi tutte le nostre risorse economiche sono state indirizzate a far fronte a questo progetto. Ho rinunciato alle trasmissioni in radio, sia per motivi organizzativi che economici. Dalla fine degli anni 80 era subentrata una nuova gestione nella radio e ho continuato normalmente con la mia trasmissione di musica, non riconoscendomi più comunque nel progetto complessivo. Le spese per poter effettuare il programma non potevano poi essere le stesse di prima; non potevo cioè comprare i dischi necessari per mantenere attuale la qualità del programma, non essendo sufficienti in questo compito i soli dischi che mi arrivavano dalle case discografiche.

Nel tempo il rapporto con Anamaria si è assestato ed è diventato per me sempre più importante. Nonostante tutte le difficoltà che abbiamo avuto e che abbiamo sempre cercato di affrontare insieme, posso affermare con certezza che questo progetto di vita in comune è stato molto positivo e costruttivo. Lei ha comunque continuato tutte le sue attività e cercato di mantenere i suoi impegni di lavoro, che talvolta la tenevano lontana da casa. Più di qualche volta ha dovuto rinunciare ai suoi impegni, perché non è sempre riuscita a trovare una persona che mi assistesse (ad esempio ha rinunciato a partecipare al film “Il vento fa il suo giro“ di Giorgio Diritti). Compatibilmente con tutto ciò non ha mai trascurato gli impegni di assistenza nei miei confronti.

Mia madre ha avuto problemi di salute: ha dovuto operarsi nel 2001 per una grave ernia al disco e da quel momento in poi non ha potuto più darmi la sua assistenza come nei periodi precedenti. Non riusciva più infatti ad alzarmi e a sostenermi fisicamente. Una volta che mia madre ha avuto queste difficoltà, su di lei è infatti pesato tutto l’onere del lavoro di cura. Inoltre ricordo, come ho già accennato precedentemente, che dal 2005 non sono stati più disponibili gli obiettori, che mi erano stati sicuramente di grande aiuto e questo ha complicato i problemi.

Il peggioramento delle mie condizioni

Un fatto significativo e che segna una svolta peggiorativa nelle mie condizioni di salute, risale al 6 novembre del 2000. In questo mese, a causa di una manovra poco accorta ed errata nel teuna successiva TC lombare ha evidenziato esiti di frattura somatica di L2 con stenosi foraminale destra L1 L2. Ho dovuto portare il busto in tela armata con spallacci per cinque mesi e sono dovuto rimanere per necessità senza le normali attività di ginnastica che svolgevo, che mi permettevano di mantenere una certa mobilità muscolare ed articolare. Una volta levato il busto mi sono rimasti dei forti dolori alla schiena e una scarsa elasticità complessiva. Nel luglio del 2001 sono stato ricoverato nuovamente all’ospedale del Lido di Venezia per cercare di recuperare la mobilità che era in buona parte compromessa. Le attività svolte per 40 giorni in palestra e in piscina sono state importanti ed utili ma nonostante tutto non sono riuscito a riacquisire completamente la condizione che avevo prima di questo incidente. Fino a quel momento in 10 minuti riuscivo a fare le scale e salire al terzo piano con l’aiuto di qualcuno e da questo momento in poi questa attività mi è risultata quasi impossibile. Era necessario cioè l’aiuto di una terza persona che mi aiutasse prendendomi dalla schiena per fare gli scalini. In seguito non mi è stato più sufficiente il piccolo sostegno che prima mi permetteva di fare qualsiasi cosa ma ciò ha comportato la prima vera perdita di autonomia. Pur con queste grosse difficoltà nel 2004 mi sono recato per l’ultima volta in viaggio in Brasile. Nello stesso periodo mi è stato affidato l’ultimo obiettore di coscienza rimasto, che non è riuscito a farmi camminare in modo adeguato, tenendomi troppo e non lasciandomi il mio necessario movimento (fino a quel momento riuscivo a camminare per un chilometro e mezzo).

Nell’ottobre del 2005 mi è comparso un edema sul gluteo destro, che con il tempo è diventato sempre più grande. In questa situazione non potevo rimanere seduto a causa del dolore e del gonfiore, dovendo stare in piedi, o sdraiato o in alternativa camminare. Per provare a risolvere questo problema ho effettuato delle visite fisiatriche, neurologiche e neurochirurgiche, che potessero accertare nel complesso quale origine avessero i problemi che mi stavano tormentando e le possibili soluzioni da adottare, senza che nessuno riuscisse effettivamente a capire le cause dello stesso. Ciò mi ha provocato una grossa contrattura della schiena. I movimenti che prima riuscivo a compiere, seppure in modo non semplice, come per esempio girarmi nel letto, poi sono diventati sempre più causa di sofferenza. Questo lungo periodo di inattività (circa un anno e mezzo) mi ha completamente bloccato la muscolatura. Ho dovuto usare un cuscino antidecubito per attenuare la sofferenza e mi sono dovuto muovere ancora di più solamente in carrozzina e quindi la mia capacità motoria, che nel frattempo si era notevolmente ridotta, è ulteriormente peggiorata. Dopo un ricovero in neurochirurgia nel luglio del 2007 per accertamenti, è stata aumentata la dose di Baclofene (che già avevo usato fino al 1979 per diminuire la spasticità e che avevo ripreso dopo la frattura delle vertebre lombari). Successivamente la Prof.ssa Squintani mi ha somministrato una dose crescente dello stesso farmaco. E’ stata tentata anche una prova per mettere la pompa al Baclofene, senza esiti positivi; inoltre con l’uso di questo farmaco direttamente in colonna perdevo tutte le forze e non riuscivo più a camminare. Sono stati fatti altri tentativi di cura senza esiti positivi fino al 2010, quando a Ferrara all’ospedale S. Giorgio il dottor Mario Manca ha cominciato a trattare gli ischio crurali con tossina botulinica. Poco tempo dopo nell’ospedale Don Calabria di Negrar di Verona il dottor Gerardo Serra (in collaborazione con l’ospedale di Ferrara) ha continuato il trattamento con tossina botulinica all’ileo-psoas e al quadrato dei lombi di sinistra. Al momento le cure concordate hanno avuto qualche risultato.

La separazione da mia moglie

Questo progressivo peggioramento complessivo ha portato nel 2011 mia moglie a non riuscire più ad affrontare la situazione, che in questi ultimi anni si era estremamente complicata. Anche per lei è diventato sempre più difficile fare fronte a tutte le mie difficoltà, che erano cresciute progressivamente. Il fatto che la mia assistenza gravasse quasi completamente su di lei e che dovesse affrontare faticosamente quasi da sola la soluzione ai problemi quotidiani l’ha portata ad una situazione estrema, cioè la richiesta della separazione. Questa scelta di Anamaria, che ha aggiunto sofferenza a sofferenza, è stata difficile da metabolizzare e ha avuto su di me delle forti ripercussioni negative. Oltre alla sofferenza emotiva dell’abbandono, si faceva sempre più urgente il problema della mia assistenza, che non poteva non essere affrontata con urgenza. Devo a questo proposito aggiungere che la mia situazione familiare non mi permette di avere dei possibili sostegni: mia sorella ha una grave sclerosi multipla ed è invalida al 75% e non mi può essere sicuramente di aiuto e mia madre ha appena compiuto 80 anni e quindi non posso in questo momento contare per ovvi motivi sul loro aiuto.

Nessun aiuto dalla Regione

Dal 2005 ho percepito un contributo di 1000 euro dalla Regione Veneto per pagare parzialmente un’assistente che mi aiutava nei miei bisogni quotidiani e questo aiuto mi è stato di grande sollievo. Dal 2005 al 2011 ho avuto una persona che mi assisteva parzialmente dal lunedì al venerdì, avendo comunque nello stesso tempo anche il supporto di mia moglie. Dal 2011 in poi, mancando il supporto di mia moglie e avendo bisogno di assistenza 24 ore su 24, ho tentato di accedere ad ulteriori contributi straordinari della Regione Veneto per casi di particolare gravità. Ho lottato con la Regione per quasi due anni senza ottenere il risultato che speravo. Ho avuto per un periodo due assistenti, pagandole grazie all’aiuto di amici e ad una festa per raccogliere i fondi necessari. Questa situazione non poteva durare a lungo e quindi, finiti i fondi, mi sono trovato nella condizione di pagare una sola assistente. Alcuni amici mi hanno sostenuto nelle giornate festive e nelle situazioni di emergenza o di malattia dell’assistente. Mi sono trovato comunque varie volte senza assistenza da solo a letto, senza potermi lavare o andare in bagno e rischiando di essere ricoverato in istituto. Ho cambiato varie assistenti, che duravano molto poco, data la notevole difficoltà e le energie anche fisiche necessarie nella mia assistenza.

La fortuna di incontrare Mirela

Dal 2013 ho avuto la fortuna di incontrare Mirela, molto brava e paziente, che mi assiste tutto il giorno e anche nei giorni festivi. Anche quando ha avuto problemi di salute, conoscendo le difficoltà della mia situazione, non ha mai rinunciato ad assistermi comunque. Se non fosse stato per la sua indispensabile presenza, sarei sicuramente ricoverato in qualche istituto. Devo comunque affermare che dopo tre anni e mezzo di lavoro, nei quali si è concessa solo due brevi periodi di riposo, è anche lei arrivata ad un notevole livello di saturazione sia fisica che psichica, con il rischio di un suo reale cedimento da un momento all’altro. Trovare un sostituto per i suoi periodi di ferie è stato molto difficile, (abbiamo impiegato anche dei mesi) data la difficoltà nell’imparare le tecniche per alzarmi, sedermi e nell’assistenza nei brevi spostamenti che riesco ancora a fare. Nel caso di una sua eventuale difficoltà farei fatica a trovare una persona che la sostituisca e nel breve periodo sarebbe una cosa impossibile.

L’ultimo periodo

In questi anni, pur avendo trovato un beneficio con la tossina botulinica, per mantenerne parzialmente l’efficacia, i medici hanno dovuto sempre più aumentare la dose, arrivando ora alla soglia massima possibile e non avendone quasi più beneficio. Da molto tempo la contrattura a sinistra della schiena non mi permette neanche di reggere la cornetta del telefono. Cammino per pochi passi e faccio molta fatica a farmi fare tutta la doccia in piedi, nonostante continui a fare da anni e in modo continuativo fisioterapia tre volte alla settimana. Dall’autunno 2015 fare pipi da solo di notte è diventato sempre più difficile. Quando la contrattura della schiena è forte e arriva a prendermi anche il collo, faccio fatica a piegare le gambe per mettere il pappagallo e a fare la pipi. Di conseguenza devo chiamare anche di notte l’assistente per aiutarmi. Per cercare di affrontare questo problema ho fatto una visita neurologica, per vedere se la contrattura si potesse attenuare aumentando la dose di Baclofene; questa soluzione non è stata considerata praticabile. Ho fatto in seguito una visita urologica, nella quale è stato accertato il buon funzionamento dei reni e della vescica. Mi è stato consigliato l’uso di Bettmiga 50 per ritardare lo stimolo. Grazie a questo farmaco la vescica riesce a tenere più a lungo e una quantità maggiore di pipi ma se la contrattura è forte devo comunque chiamare l’assistente per aiutarmi a piegare le gambe. Altra soluzione proposta è quella dell’uso di un catetere condom. Questa continua perdita di autonomia mi ha creato un ulteriore disagio. Non riesco a stare neanche seduto in carrozzina per lunghi periodi. Devo avere la possibilità di cambiare posizione e di sdraiarmi e ciò non mi permette più di poter viaggiare e di poter rimanere fuori casa per una giornata intera. Da un po’ di mesi la contrattura è talmente forte che non mi permette neanche di alzare il braccio per mangiare da solo e devo essere imboccato. Ho inoltre dei problemi crescenti anche nell’andare di corpo; i miei addominali sono sempre più deboli e quindi non sono autonomo neanche in questa operazione, nella quale devo essere completamente assistito.

La scelta della morte assistita

Questo mio progressivo peggioramento fisico mi rende comunque difficile immaginare il resto della mia vita in modo minimamente soddisfacente, essendo la sofferenza fisica e il dolore diventati per me insostenibili e la non autosufficienza diventata per me insopportabile. Sono arrivato quindi ad immaginare questa scelta, cioè la richiesta di accompagnamento alla morte volontaria, che è il frutto di una lunghissima riflessione. E’ infatti una scelta che sto meditando da molto tempo e alla quale sono giunto progressivamente ma in modo irreversibile. Io sono stato e sono ancora convinto che la vita sia bella e sia giusto goderla in tutti i suoi vari aspetti, sia quelli positivi che quelli negativi. Questo è esattamente quello che ho fatto sempre nonostante l’incidente che ho avuto e le difficoltà di tutti i tipi che questo mi ha creato. Non ho mai rinunciato a niente di tutto quello che potevo fare, nonostante gli ostacoli che ho trovato e che spesso grazie alla mia forza di volontà e all’aiuto delle persone che mi sono state vicine e mi hanno voluto bene sono riuscito ad affrontare. Credo in questo momento che la qualità della mia vita sia scesa sotto la soglia dell’accettabilità e penso che non valga più la pena di essere vissuta. Credo che sia giusto fare questa scelta prima di trovarmi nel giro di poco tempo a vivere in un istituto e come un vegetale, non potendo nemmeno vedere, cosa che sarebbe per me intollerabile. Proprio perché amo la vita credo che adesso sia giusto rinunciare ad essa vista la sofferenza gratuita sia fisica che spirituale che stanno progressivamente crescendo senza possibilità di revisione o di risoluzione positiva.

Qualcuno ha provato a convincermi che questa scelta poteva essere rimandata, che c’era ancora tempo. Li ringrazio per questo tentativo e per essermi stati vicini, ma il mio tempo è terminato. Il muro contro il quale ho continuato per anni a battermi è più alto che mai e continua a negarmi il diritto ad una assistenza adeguata. Anche Mirella, dopo quattro anni con me, non ce l’ha più fatta a seguirmi quotidianamente e quindi, dallo scorso giugno, ho dovuto cercare assistenza mettendo degli avvisi su siti di annunci in rete. Non è facile, però, trovare personale adeguato alla mia situazione. Dev’essere in grado di aiutarmi nelle incombenze quotidiane, alzarmi, vestirmi, lavarmi, sostenermi, prendersi cura anche della casa. Deve avere la patente, per accompagnarmi. Deve saper usare il computer, che, essendo cieco e non potendo utilizzare le mani, non riesco ad usare autonomamente. Deve essere disponibile 24 ore al giorno. Non è stato tuttavia possibile sostituire Mirella. Le persone disponibili e adeguate, di fronte al carico di lavoro, di fronte alla mancanza di giorni liberi, hanno rinunciato. Ho così trovato soltanto personale improvvisato, che provava a fare il lavoro di cura senza preparazione e dedizione adeguate, pensando che potesse ridursi a piazzare il paziente davanti a un televisore o a metterlo a letto dandogli un’occhiata ogni tanto. Per non dire di peggio, di chi pensava di approfittarsene credendo di poter giocare con sentimenti, desideri, bisogni della persona.

Nuova richiesta alla Regione

Se, dopo la separazione da mia moglie, avessi avuto la possibilità di giovarmi di due persone qualificate e motivate, soprattutto in questi ultimi sei anni, la mia vita sarebbe stata un po’ più facile e dignitosa. Essendo impegnato nel movimento per la “Vita Indipendente”, che chiede per le persone con grave disabilità il diritto a un’assistenza completa e autogestita e finanziata con un fondo apposito dalla Regione, mi sono rivolto agli uffici competenti e, al tempo stesso, ho fatto presente la mia nuova situazione ai servizi sociali e al sindaco del mio Comune (Fiesso d’Artico, in provincia di Venezia). Ho anche sollecitato direttamente in particolare l’assessore regionale che si occupava allora di questi problemi. E’ venuto a farmi visita, una volta, dopo molte mie insistenze e proteste per le mancate risposte, ma non è bastato. Non ha capito la mia situazione, che è la situazione di tanti e tante come me, a nome dei e delle quali penso di parlare.

Dopo la visita dell’assessore il mio Comune ha presentato alla Regione la richiesta di accedere ai fondi straordinari appositi previsti dalla dgr 1177/2011. La Commissione di valutazione regionale, però, per ben due volte ha risposto picche, ha ritenuto non idoneo il progetto presentato dal mio Comune a sostegno del sottoscritto, nonostante le valutazioni e i pareri favorevoli dell’ULSS, dell’assistente sociale e del Comune stesso. Avrei potuto fare ricorso al TAR, ma ormai ero deluso, stanco, sfinito dalle mille quotidiane difficoltà, di fronte a tanta incomprensione, per altro mai decentemente argomentata.

Perché è così difficile capire i bisogni di tante persone in situazione di gravità, perché questa diffidenza degli amministratori, questo nascondersi sempre dietro l’alibi delle ristrettezze finanziarie, anche quando basterebbe poco, in fondo, per dare più respiro, lenimento, dignità? Domande che spero possano trovare risposta al più presto affinché tante altre persone con grave disabilità possano usufruire dell’assistenza personale e di un reddito per vivere libere, con dignità, evitando l’abbandono o il ricovero definitivo in qualche istituto. A questo fine è necessario alzare la soglia massima relativa all’Impegnativa di Cura Domiciliare e Fisica oggi fissata a 1000 euro, ferma al 2004 e quindi anacronistica e del tutto insufficiente per assicurare le collaborazioni indispensabili. Magari a qualcuno potrebbero bastarne anche meno, ma per altri ne servono certamente molti di più, come nel mio caso. Quindi tale soglia va modificata, resa maggiore e più elastica.

Le mie battaglie

Sono più di quarant’anni che mi batto per queste cose. Mi sono impegnato a fondo nella rete che lotta per la “Vita Indipendente”, un movimento di associazioni, gruppi, famiglie, persone che affermano il diritto a una vita dignitosa delle persone con grave disabilità avendo come controparti Comuni, Regioni, lo Stato, le Ulss, ottenendo a volte risultati importanti anche se siamo ancora ben lontani da quanto sarebbe necessario e da quanto in altri paesi, specie nel nord Europa, si è già consolidato. Ho anche trovato la forza d’animo e la forza fisica di candidarmi e di fare il consigliere comunale a Mira, nei primi anni ’90, per dare una forma anche istituzionale al mio impegno politico per i diritti e per l’ambiente. Ho infatti condiviso con i Verdi le grandi battaglie globali in difesa dell’ambiente e dei beni comuni, per la pace, contro gli ogm e sui mutamenti climatici, in difesa degli altri animali (anche attraverso la scelta vegetariana) e le battaglie locali in difesa del mio territorio e delle persone più deboli. Mi sono sforzato di partecipare a riunioni, iniziative pubbliche, manifestazioni o tramite i media e in rete, con tutti coloro che credono in queste cose, che potrebbero magari mettersi finalmente insieme per avere più forza. Siamo in un momento di rischi e trasformazioni epocali: la crisi climatica, la crisi ecologica, che tra l’altro causano o accentuano i fenomeni migratori, con grandi masse che cercano una vita migliore. E’ necessario cambiare i modelli di sviluppo, ingiusti, dissipativi e inquinanti, giungere a una riconversione ecologica delle economie e dei sistemi produttivi, rigenerare il pianeta, renderlo più equilibrato e giusto, accogliente. Questa è la mia speranza politica, che rilancio e che vorrei trovasse tante altre persone che se ne fanno carico anche dopo di me, nel momento in cui ho smesso di sperare che nella mia vita personale ci possano essere miglioramenti in grado di farmela ritenere di nuovo irrinunciabile.

Testamento biologico e legge sul fine vita

Per questo, il mio impegno estremo, il mio appello, è adesso in favore di una legge sul “testamento biologico” e sul “fine vita” di cui si parla da tanto, che ha mosso qualche passo in Parlamento, ma che non si giunge ancora a mettere in dirittura d’arrivo. In altri paesi è da tempo una possibilità garantita. Vorrei che, finalmente, lo fosse anche in Italia. Questa mia volontà, e questa mia scelta, non sono in contraddizione con la lotta per una vita indipendente da garantire comunque, anzi. Vi sono situazioni che, infine, evolvono inesorabilmente verso l’insostenibilità. Sono convinto che, se avessi potuto usufruire di assistenza adeguata, come ho già detto, avrei vissuto meglio la mia vita, soprattutto questi ultimi anni, e forse avrei magari rinviato di un po’ la scelta di mettere volontariamente fine alle mie sofferenze. Ma questa scelta l’avrei compiuta comunque, data la mia condizione fisica che continua progressivamente a peggiorare e le sue prospettive. Avrei però voluto che fosse il mio Paese, l’Italia, a garantirmi la possibilità di morire dignitosamente, senza dolore, accompagnato con serenità per quanto possibile. Invece devo cercare altrove questa ultima possibilità. Non lo trovo giusto. Il mio appello è che si approvi al più presto una buona legge sull’accompagnamento alla morte volontaria (ad esempio, come accade in Svizzera), perché fino all’ultimo la vita va rispettata e garantita nella sua dignità.

È arrivato il momento.

Ora è arrivato il momento. Porto con me l’amore che ho ricevuto e lascio questo scritto augurandomi che possa scuotere un po’ di coscienze ed essere di aiuto alle tante persone che stanno affrontando ogni giorno un vero e proprio calvario.

Ringrazio tutti coloro che mi sono stati vicini e che proseguiranno la battaglia per il diritto ad una vita degna di essere vissuta e per un mondo più sano, pulito e giusto.

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