Il 21 luglio 2015, è stato pubblicato dall’ISTAT lo studio “Inclusione sociale delle persone con limitazioni funzionali, invalidità o cronicità gravi”, realizzato nell’ambito del progetto “Sistema di Informazione Statistica sulla Disabilità”, grazie alla convenzione stipulata nel 2011 tra l’Istituto nazionale di statistica e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. L’ipotesi di ricerca era stata oggetto di confronto anche con l’Osservatorio sulla condizione delle persone con disabilità che aveva caldeggiato l’adozione di indicatori aderenti al dettato della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, e in particolare dell’articolo 31.
Non a caso il progetto si propone di costruire un sistema di indicatori che, sulla base dei dati disponibili di fonte ufficiale, permetta di delineare e monitorare il fenomeno disabilità, fornendo elementi conoscitivi indispensabili a supporto della programmazione. In particolare, la rilevazione condotta si pone l’obiettivo ambizioso di colmare alcune carenze informative in relazione all’esistenza di fattori che ostacolano la piena partecipazione e l’inclusione sociale nei diversi contesti di vita (scuola, lavoro, relazioni interpersonali, mobilità e tempo libero).
In tal senso l’ISTAT dichiara di avere adottato un approccio “basato sulla nuova definizione di disabilità proposta con la classificazione ICF (International Classification of Functioning, Disability and Health) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, sulla base della quale, nella Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, si indica che le persone con disabilità «includono quanti hanno minorazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali a lungo termine che in interazione con varie barriere possono impedire la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su una base di eguaglianza con gli altri.»”.
In realtà le prospettive dell’ICF e quelle della Convenzione ONU sono fra loro diverse.
L’ICF è un articolato strumento di descrizione di funzioni e strutture corporee e di attività e partecipazione, con i loro domini e costrutti (es. capacità, performance), ma anche dei fattori ambientali e personali con le loro influenze dirette su funzionamento e disabilità.
La definizione della Convenzione ONU si riferisce alle menomazioni di lungo termine che assumono significato di disabilità quando barriere (prevalentemente ambientali) impediscono o restringono il pieno accesso ai diritti umani e quindi alla partecipazione.
Un’indagine che voglia essere effettivamente e globalmente aderente alle due indicazioni dovrebbe: rifarsi alla differenziazione fra funzioni e strutture corporee (non già a patologie o a invalidità accertate); analizzare la compromissione nelle attività e nella partecipazione; essere in grado di evidenziare le barriere esistenti soprattutto ambientali (per esempio assenza di politiche e servizi, sistemi di trasporto non accessibili, assenza di politiche per l’inclusione, edifici e spazio costruito inaccessibile ecc.). Dovrebbe, cioè, fornire indicatori capaci di misurare quella “interazione” cui si riferisce la Convenzione ONU, essendo la disabilità non una caratteristica dell’individuo insita in una patologia o menomazione, ma il risultato di un’organizzazione sociale che restringe le attività e le possibilità di partecipare delle persone con menomazioni, ponendo sul loro percorso barriere comportamentali e ambientali. E ciò proprio perché non esiste disabilità senza barriere alla partecipazione.
Certamente un obiettivo di tale portata, per la complessità della rilevazione e per i dati fin qui disponibili non poteva certo essere raggiunto nella prima versione, cioè quella di cui stiamo qui dando conto.
A partire dalle premesse evidenziate, il primo aspetto da circoscrivere è quello delle menomazioni permanenti, o per dirla con l’ICF della limitazione (cambiamento) delle funzioni o strutture corporee. Dati che attualmente non sono però rilevati con i criteri e i qualificatori previsti dalla Classificazione internazionale. Ma, a ben vedere, anche la valutazione delle attività e delle loro limitazioni soffre della stessa compressione: non sono rilevate con i criteri dell’ICF che, oltre a codificarle abbastanza compiutamente, ne fa emergere capacità e performance. E pari riflessione vale per l’ancor più complesso ambito dei fattori contestuali (ambientali e personali).
La popolazione che l’ISTAT prende a riferimento per la sua analisi è composta da coloro i quali nell’indagine Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari condotta nel 2012-2013 hanno dichiarato di avere gravi o lievi limitazioni funzionali (confinamento, difficoltà nel movimento, difficoltà nelle funzioni della vita quotidiana, difficoltà nella comunicazione), patologie croniche gravi o invalidità permanenti.
Il totale è pari a 13 milioni e 177 mila persone di 15 anni e più che vivono in famiglia.
Si suppone nella ricerca che in questi casi vi sia una interazione negativa con l’ambiente e, quindi, per dirla con la Convenzione ONU sussista disabilità.
Di questa popolazione circa 3,1 milioni sono persone con limitazioni funzionali gravi, che riferiscono il massimo grado di difficoltà nelle funzioni motorie, sensoriali o nelle funzioni essenziali della vita quotidiana, e che finora sono state comunemente considerate “persone con disabilità”. A queste si vanno ad aggiungere le persone con limitazioni funzionali lievi, che evidenziano un livello immediatamente inferiore al massimo grado in almeno una delle funzioni sopra indicate. Ma si aggiungono anche le persone con invalidità permanenti e quelle che, pur non avendo dichiarato limitazioni funzionali, soffrono di malattie croniche gravi. Una scelta non in linea con la componente dell’ICF relativa alle strutture e funzioni corporee, dove non si fa riferimento alle patologie, ma che è stata effettuata nell’ipotesi che esse implichino peggiori condizioni di salute e un elevato livello di limitazioni funzionali e nello svolgimento di attività.
Per rilevare l’inclusione delle persone con limitazioni funzionali, invalidità o cronicità gravi nei diversi ambiti di vita (istruzione e formazione, lavoro, mobilità, relazioni sociali, tempo libero e uso di internet) è stato chiesto agli intervistati i motivi di eventuali restrizioni alla partecipazione riconducibili a fattori personali e ambientali. Ma si è rilevato anche se le restrizioni evidenziate fossero riconducibili agli stessi problemi di salute, patologie croniche o limitazioni di lunga durata nelle attività di base (vedere, sentire, concentrarsi, camminare, ecc.) da loro riferiti. Ciò tuttavia rischia di originare una lettura sbilanciata sulla parte sanitaria, per cui le restrizioni alla partecipazione vengono ricondotte dagli intervistati alle proprie condizioni di salute. E questo dipende dalla stessa impostazione di talune domande, laddove si chiede agli intervistati il motivo della ridotta attività o partecipazione lasciando aperta la possibilità di indicare come causa la condizione di salute.
Sono circa 5 milioni le persone tra i 15 e i 64 anni con limitazioni funzionali, invalidità o cronicità gravi non iscritte a corsi di alcun tipo (scolastici, universitari o di formazione professionale). Di queste il 25,5% denuncia difficoltà a studiare per conseguire un titolo di studio od ottenere una qualifica professionale: l’8,4% indica motivi di salute e il 17,1% individua difficoltà motivate da fattori diversi.
Le condizioni di salute risultano prevalenti nel caso delle persone con limitazioni funzionali gravi, che le indicano nel 37,3% dei casi. Appare evidente che se ciò avesse un riscontro anche oggettivo significherebbe che la mancata inclusione non derivi dall’assenza di servizi o supporti, ma dalla natura stessa della patologia o menomazione.
Il 44,0% delle persone di 15-64 anni con limitazioni funzionali, invalidità o cronicità gravi risulta occupato, contro il 55,1% registrato per l’intera popolazione della stessa fascia di età. Tale percentuale scende però al 19,7% nel caso di limitazioni funzionali gravi, rispetto al 46,9% di chi a limitazioni funzionali lievi, invalidità o malattie croniche gravi. Tradotto in termini meno precisi, ma di più immediata comprensione: meno di una persona su cinque con grave menomazione lavora.
Sono sempre le condizioni di salute a giocare un ruolo centrale come causa di impedimento alla mobilità per le persone con limitazioni funzionali, invalidità o cronicità gravi: per questo motivo il 27,2% dichiara difficoltà a uscire di casa, il 22,3% ad accedere agli edifici pubblici e privati e il 19,7% a utilizzare i trasporti pubblici. Valori che raggiungono rispettivamente il 76,2%, il 70,5% e il 59,6% tra le persone con limitazioni funzionali gravi.
Per quanto riguarda invece i fattori ambientali, questi assumo un peso minore rispetto alle condizioni di salute, anche se non trascurabile, e risultano relativamente più rilevanti per quanto riguarda l’uso dei mezzi pubblici rispetto agli altri indicatori di mobilità. In particolare, il 3,2% degli intervistati dichiara difficoltà a uscire di casa dovute a dintorni disagevoli (per esempio pendii, gradini, percorsi privi di supporti per la mobilità); valore che arriva all’8,4% tra chi ha limitazioni funzionali gravi. Il 6,4% riferisce difficoltà di accedere agli edifici pubblici e privati per la presenza di barriere esterne o interne (mancanza di rampe d’accesso, porte troppo strette, disposizione degli spazi interni, difficoltà di accesso ai bagni, agli ascensori, ecc.); quota che arriva al di sopra del 17% per chi ha limitazioni funzionali gravi. Il 13,0% denuncia impedimenti nell’uso dei trasporti pubblici a causa di barriere ambientali riconducibili alle aree circostanti le fermate (pendii, gradini, percorsi privi di supporti per la mobilità, ecc.) o alle difficoltà legate al salire e scendere dai mezzi pubblici; valore che sale al 29,6% nel caso di limitazioni funzionali gravi.
Tra chi dichiara difficoltà nella mobilità legate alla salute o alla presenza di barriere ambientali, oltre la metà delle persone con limitazioni funzionali gravi dispone di ausili, dell’assistenza di una persona o di servizi pubblici per l’autonomia; mentre circa un terzo delle persone con limitazioni funzionali gravi o lievi, invalidità permanenti o malattie croniche gravi non dispone degli ausili o dell’assistenza di cui avrebbe bisogno.
Anche la vita di relazione e la fruizione del tempo libero sono soggette a restrizioni motivate, secondo gli intervistati, da problemi di salute: rispettivamente per il 17,0% e per il 22,1% delle persone con limitazioni funzionali, invalidità o cronicità gravi. Valori che raggiungono il 47,6% e il 60,8% per le persone con limitazioni funzionali gravi.
In particolare, la quota di chi riferisce difficoltà relazionali è circa il doppio fra quanti hanno uno scarso supporto sociale rispetto a chi è invece sostenuto adeguatamente da parte di altre persone.
Più contenuto è invece il peso delle condizioni di salute sull’utilizzo di internet, indicato nell’11,1% dei casi (il 36,6% per chi ha limitazioni funzionali gravi). La principale causa di impedimento viene infatti individuata nella difficoltà stessa di utilizzare internet o il pc, motivazione indicata dal 47,1% delle persone con limitazioni funzionali, invalidità o cronicità gravi, a fronte del 18,3% di chi non ha limitazioni funzionali, invalidità o malattie croniche gravi.
Daniela Bucci