Il 9 luglio 2014 sono stati diffusi i risultati del Rapporto Integrare il welfare, sviluppare la white economy, frutto della collaborazione tra il CENSIS e il Gruppo assicurativo e bancario Unipol.
Il Rapporto, a partire dalla lettura dei dati ufficiali e dai risultati di un’indagine condotta dal CENSIS a maggio 2014, propone alcune riflessione sulle opportunità derivanti da una maggiore e migliore integrazione tra il welfare pubblico e la spesa di cura privata.
In particolare, esso si concentra sulla così detta white economy, definita come il “cluster dei servizi, dei prodotti, delle tecnologie e delle professionalità per la cura e la tutela della salute, oltre che per l’assistenza personale”. Un sistema che attualmente, in Italia, genera un valore della produzione superiore a 186 miliardi di euro annui, il 6% della produzione totale, con un’occupazione superiore a 2,7 milioni di unità. Nel cluster rientrano servizi di cura, strumenti diagnostici, farmaci, ricerca in campo medico e farmacologico, tecnologie biomedicali, ma anche il vasto segmento dell’assistenza personale, delle badanti e dell’accompagnamento, che si stima generi più di 9 miliardi di valore della produzione e che appare in forte espansione.
Le riflessioni proposte nel Rapporto, al di là della loro condivisibilità o meno, nascono dalla rilevazione di una contrapposizione crescente tra l’incremento della domanda di cura e di assistenza e i processi di razionalizzazione della spesa pubblica.
Tra il 2007 e il 2013 la spesa sanitaria pubblica è rimasta praticamente invariata, con un +0,6% in termini reali. Al contrario è cresciuta la spesa sanitaria privata, a ritmi più che doppi rispetto a quella pubblica. Se si osserva il fenomeno dal lato dei consumi, nell’arco di tempo considerato la spesa complessiva delle famiglie, in termini reali, ha registrato una flessione del 7,6%, mentre la voce “sanità” (spese per medicinali, servizi ambulatoriali e ospedalieri) è l’unica (insieme alle spese per le utenze domestiche) a essere aumentata, con un +3,1%. La prima motivazione per cui le famiglie italiane sono spinte a ricorrere a prestazioni sanitarie pagate di tasca propria (out of pocket) è rappresentata dai lunghi tempi di attesa per accedere al servizio pubblico. Non è quindi la qualità del servizio pubblico stesso a essere messa in discussione, ma la sua efficienza. È in atto, e da tempo, un fenomeno compensativo, per cui al contenimento della spesa pubblica si sopperisce con l’impiego di risorse familiari (pari al 20% della spesa sanitaria pro-capite complessiva, allo stesso livello di Paesi come la Germania e la Francia).
Il perdurare della crisi fa tuttavia emergere segnali di cedimento della capacità da parte delle famiglie di sopperire con risorse proprie alle contrazione del sistema di welfare pubblico. Il trend della spesa sanitaria pro-capite ha subito negli ultimi due anni un rallentamento, probabilmente per effetto dell’acuirsi della crisi. Tra il 2007 e il 2011 – il momento in cui si è registrata la spesa privata pro-capite più elevata degli ultimi 10 anni – l’incremento è stato in Italia del 9% (in termini reali), per poi ritornare nel 2013 a circa gli stessi livelli del 2007.
Nell’ultimo anno – scrive il CENSIS nel proprio comunicato stampa – “le famiglie italiane hanno dovuto rinunciare complessivamente a 6,9 milioni di prestazioni mediche private […] E anche il numero dei collaboratori domestici per attività di cura e assistenza (963mila persone) ha registrato una flessione nell’ultimo anno (-0,4% nel 2013), dopo un periodo di crescita costante (+4,2% tra il 2012 e il 2013)”.
Per quanto riguarda la disabilità in particolare, tra il 2003 e il 2011 la spesa nel nostro Paese ha registrato un incremento in termini reali superiore al 20%, con una spesa complessiva pubblica passata da 21,2 miliardi di euro a quasi 26 miliardi di euro. Eppure la spesa pro-capite italiana (413,90), se messa a confronto con i principali Paesi europei, si attesta su livelli piuttosto contenuti, considerevolmente più bassa rispetto a ciò che si registra in Francia (551,00), in Germania (700,50), oltre che nell’area scandinava (in Svezia è pari a 1.163,60) , ma anche più contenuta rispetto a Paesi come la Spagna (417,28).
Inoltre, nell’area OCSE, l’Italia è il Paese con la più elevata percentuale (sulla popolazione) di familiari e amici che prestano in modo continuativo assistenza a persone disabili, con elevati costi sociali.
Da ultimo, è bene considerare che i dati raccolti non solo confermano una domanda crescente di cure e assistenza, ma indicano anche la presenza di una domanda spesso inevasa. Esiste, infatti, un bisogno di cure e di assistenza che non viene coperto dalle prestazioni pubbliche. Una parte viene convogliata verso il settore privato, ma un’altra parte non trova affatto risposte, poiché un numero consistente e crescente di famiglie si trova nelle condizioni di dover tagliare le spese.