La Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap ben prima della sua costruzione aveva denunciato il fatto che il Ponte di Calatrava fosse un monumento all’esclusione.
Se il costosissimo quarto ponte sul Canal Grande deve rappresentare l’eredità culturale dell’epoca in cui è costruito, al pari di ogni altra opera dei secoli scorsi, esso testimonia innegabilmente una cultura di esclusione. Infatti un’opera civile che tradisce le esigenze della comunità a cui si rivolge è un errore progettuale, una violazione del diritto umano alla partecipazione la cui responsabilità è parimenti distribuita fra progettisti e decisori politici che si sono alternati in questi anni. Atti tanto più gravi perché si consumano a Venezia, un patrimonio dell’Umanità intera.
Quel Ponte, pur costruito nel XXI secolo, è inaccessibile alle persone con disabilità, di difficile percorribilità per anziani e per chiunque altro, complici i materiali sdrucciolevoli con cui è realizzato, l’alternante lunghezza delle pedate dei gradini che costringono ad innaturali cambi di passo, le scarse differenze cromatiche: il contrario della progettazione universale, come FISH ripete da anni. Lo dimostrano le frequenti cadute poi oggetto di richiesta di indennizzo al Comune di Venezia.
Di fronte a tali evidenze – mai ammesse formalmente – si è deciso di adottare una soluzione assurda sotto il profilo tecnico e non solo: l’ovovia. Contro di essa la FISH si era espressa in modo contrarissimo giudicandola inutile, dai costi ingiustificati, disagevole, di difficile manutenzione, a rischio costante di blocco. Il Comune ha proseguito imperterrito verso quella soluzione, ignorando caparbiamente i suggerimenti delle organizzazioni delle persone con disabilità salvo poi scontrarsi con l’evidenza dei fatti.
Oggi siamo all’esito finale: l’ovovia può essere smantellata dal Comune senza correre il rischio di una denuncia per danno erariale. E quindi, ad un costo (solo stimato, poi si vedrà) di 40.000 euro – a carico dei cittadini – l’ovovia sarà rottamata.
Su questa vicenda la FISH formula oggi una proposta culturale e politica (a costo zero).
L’ovovia – disattivata, portata al centro della campata, illuminata – rimanga lì dove si trova. Vi resti quale monito all’esclusione, quale modello negativo di ciò che non bisogna fare per garantire l’inclusione delle persone con disabilità e per il bene comune. Rimanga e ne venga evidenziata la storia e gli errori: sarebbe profondamente educativo per tanti progettisti, per tanti decisori politici, per tanti cittadini.
Al contempo, con un orgoglioso sussulto di cittadinanza, chiediamo che anche la toponomastica divenga coerente ai fatti. La denominazione “Ponte della Costituzione” è un insulto alla Carta costituzionale che è alla base della convivenza civile del nostro Paese ed è uno schiaffo all’articolo 3 della stessa Costituzione che dal 1948 ci rammenta che tutti i cittadini sono uguali. Si cambi il nome di quel Ponte, per rispetto ai cittadini, per rispetto alla Costituzione.