Assistenti e badanti: segnali negativi nel “decreto dignità”

donna in carrozzina con assistente all'aperto

Il cosiddetto “decreto dignità”, nell’intento di contrastare i contratti a termine, rischia se convertito di arrecare danni economici alle famiglie e alle persone con disabilità, anche grave, che ricorrano al sostegno di badanti e assistenti personali. Sui contratti a termine, vengono aumentati i costi a carico non solo delle imprese, ma anche delle famiglie: per ogni rinnovo dovranno pagare un contributo aggiuntivo dello 0,5%, che si somma a quello già previsto dell’1,4%.

Al contratto a termine e al loro rinnovo le famiglie ricorrono molto spesso per gestire emergenze, per sostituire personale, per le mille necessità familiari che possono insorgere nella gestione di bambini, anziani non autosufficienti, persone con disabilità anche grave, o anche per rispondere agli altalenanti e incerti contributi pubblici.

In conseguenza del nuovo decreto, il costo stimato aggiuntivo sul contratto standard di una badante assunta per 24 ore a settimana può arrivare a 160 euro in più l’anno. Cifra che si aggiunge, ovviamente, alla retribuzione e ai contributi dovuti.

La Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap auspica che si tratti di un errore sanabile in sede di conversione del decreto, tuttavia il segnale non è certo positivo in termini di attenzione alle famiglie, ai minori, alla non autosufficienza. E inoltre conferma il perseverare di una visione piuttosto miope rispetto al lavoro domestico su cui è necessario intervenire.

Si ricorda che, secondo i dati dell’Osservatorio INPS sui lavoratori domestici, nel 2016 sono stati registrati 866.747 lavoratori regolari, per la maggioranza lavoratori stranieri (75,0%) e con una netta predominanza della componente femminile (88,1%). Nonostante il numero dei collaboratori domestici sia cresciuto enormemente, arrivando quasi a raddoppiare nell’arco di un decennio (2002-2012), l’INPS ha rilevato a partire dal 2013 una contrazione del numero dei lavoratori regolari (-14,3% tra il 2012 e il 2016).

Questo calo riflette una reale diminuzione delle assistenti familiari nel nostro Paese? In realtà è esattamente il contrario: le assistenti familiari non solo non risultano in calo, ma anzi aumentano, e in questo momento proprio nel mercato del lavoro irregolare.

Ed infatti complessivamente si stima che le assistenti familiari (colf, badanti …) si attestino ben prudenzialmente oltre il milione e mezzo di unità.

Non è tutto: a fronte delle spese sostenute per il lavoro di cura privato le agevolazioni fiscali alle famiglie risultano assai limitate. Per tutti i contribuenti privati è prevista una deduzione dal reddito fino a 1.549,37 euro e limitata ai soli contributi previdenziali e assistenziali. Nel caso la prestazione sia resa a persone non autosufficienti è prevista, in aggiunta all’agevolazione precedente, una detrazione del 19% della spesa sostenuta, ma solo fino a 2.100 euro di spesa. È inoltre posto il limite reddituale di 40.000 euro. Peraltro su queste assunzioni le famiglie non godono nemmeno del sistema di incentivi di cui godono invece le aziende.

La presenza di una persona con grave disabilità rappresenta uno dei primi elementi di impoverimento del nucleo familiare e le spese di assistenza non compensate ne costituiscono una delle cause salienti.

In questo scenario – rileva Vincenzo Falabella Presidente della Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap – non abbiamo certo bisogno che il ricorso al lavoro domestico venga ulteriormente vessato, anzi. Abbiamo tutti necessità di un intervento sistematico. E gli obiettivi immediati (oltre a quelli strategici) devono essere due. Il primo sostenere in modo molto più significativo queste spese familiari in una logica anche di supporto alla non autosufficienza e all’inclusione delle persone con disabilità. Il secondo: si usi più saggiamente la leva delle detrazioni e deduzioni anche per contrastare il lavoro nero.”

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