Il lavoro domestico in Italia

In questi giorni sono state rese pubbliche dall’INPS le Statistiche In Breve sui Lavoratori Domestici.
Secondo i dati dell’Osservatorio, nel 2016 sono stati registrati 866.747 lavoratori domestici regolari: un numero in calo rispetto al 2015 del 3,1%. Si tratta per la maggioranza di lavoratori stranieri (pari al 75,0% del totale) e si rileva una netta predominanza della componente femminile (l’88,1%: il valore più alto calcolato dal 2009).
Nonostante il numero dei collaboratori domestici sia cresciuto enormemente, arrivando quasi a raddoppiare nell’arco di un decennio (2002-2012), l’INPS ha rilevato a partire dal 2013 una contrazione del numero dei lavoratori regolari (-14,3% tra il 2012 e il 2016). Tale decremento ha riguardato esclusivamente i lavoratori di origine straniera (-21,1% rispetto al 2012, anno in cui si era invece registrato un forte aumento per effetto della sanatoria riguardante i lavoratori extracomunitari irregolari), a fronte invece di un incremento dei lavoratori italiani (+15,8%).
Osservando la distribuzione territoriale dei lavoratori domestici in base al luogo di lavoro, il Nord Ovest è la ripartizione geografica dove si registra il il maggior numero di lavoratori regolari (29,9%), seguito dal Centro (28,6%) e dal Nord Est (19,8%). Più ridotte le percentuali rilevate nel Sud (12,6%) e nelle Isole (9,1%). In particolare, più della metà dei lavoratori domestici si concentra in quattro Regioni: la Lombardia, con il 18,2% del totale (pari a 157.465 lavoratori), seguita dal Lazio (15,0%), dall’Emilia Romagna (8,9%) e dalla Toscana (8,6%).

Sul totale dei lavoratori domestici, il 43,7% (pari a 379.046 lavoratori) ha un rapporto di lavoro come “badante”. Si tratta di lavoratori che nel 92,8% dei casi sono di sesso femminile e nell’80,2% di cittadinanza non italiana: il profilo prevalente è quello della lavoratrice donna straniera, rilevato nel 75,2% dei casi.
Rispetto all’anno precedente, nel 2016 si registra un lieve decremento del numero di badanti (-0,1%), che origina completamente dalla contrazione della componente straniera, a fronte di un incremento di quella italiana (+4,4%).
La distribuzione geografica di chi lavora come badante risulta abbastanza simile a quella rilevata per il totale dei lavoratori domestici: al primo posto troviamo sempre il Nord Ovest con 28,1% del totale, seguito però dal Nord Est e dal Centro con la stessa percentuale (25,3% ciascuno). Le Regioni con il maggior numero di badanti regolari sono la Lombardia (15,1%), l’Emilia Romagna (11,5%) e la Toscana (10,6%), seguite dal Lazio (9,1%).
Nel numero più frequente dei casi (29,8%) l’orario medio settimanale praticato da chi svolge il lavoro di badante è di “25-29 ore”, tuttavia oltre il 50% di questi lavoratori risulta mediamente occupato più di 30 ore a settimana. La fascia di importo della retribuzione annua più frequentemente percepita per la tipologia badante risulta per le donne di “13.000,00 euro e oltre” e per gli uomini di “1.000,00-1.999,99 euro”, infatti quasi il 32,0% delle donne ha una retribuzione uguale o superiore ai 10.000 euro annui, contro il 24,4% degli uomini.

Sempre sul tema del lavoro domestico, nel mese di giugno sono stati presentati 4 dei 9 Dossier editi dall’Associazione Nazionale Famiglie Datori di Lavoro Domestico – DOMINA, che illustrano una ricerca realizzata dalla Fondazione Leone Moressa proprio sul ruolo del lavoro domestico in Italia, con attenzione al punto di vista delle famiglie.

In base alle analisi realizzate a partire dai dati dell’INPS sui lavoratori regolari, la ricerca calcola una spesa delle famiglie italiane sul mercato del lavoro domestico e di cura di circa 7 miliardi di euro l’anno (al netto della componente irregolare che si stima di circa il medesimo importo), di cui 947 milioni in contributi versati allo Stato e 416 milioni in TFR.
(Il profilo del datore di lavoro domestico in Italia. Dimensioni del fenomeno, trend demografici, impatto economico e sociale).

Secondo un campione di operatori del settore intervistati, meno del 15% della spesa delle famiglie è sostenuta da aiuti pubblici (statali, regionali o comunali), mentre la quota maggioritaria dei costi viene coperta dalla persona che beneficia del servizio di cura privato (47,9%) o dalla sua famiglia (37,2%). I principali contributi pubblici impiegati a copertura delle spese vengono individuati nell’indennità di accompagnamento, nella pensione di invalidità civile e nelle detrazioni fiscali. Meno rilevanti vengono giudicati invece l’assegno di cura (regionale o comunale) e l’home care premium. Ne consegue che 8 operatori su 10 interpellati dai ricercatori reputano i contributi pubblici poco o per niente adeguati alle esigenze delle famiglie. Le proposte che gli esperti avanzano sono quindi nella maggioranza dei casi misure di natura economica: il 65,7% suggerisce infatti l’aumento degli aiuti statali e locali; cui segue per il 31,5% l’aumento delle detrazioni fiscali a favore delle famiglie.
Peraltro l’Osservatorio INPS sui lavoratori domestici fotografa solo una parte del fenomeno considerato. Sempre secondo le risposte degli esperti, il lavoro nero incide in questo settore per il 54% del totale. Per cui agli oltre 800 mila lavoratori domestici regolari in Italia, bisognerebbe aggiungerne altrettanti non ancora regolarizzati. E, anche in questo caso, le soluzioni individuate dagli operatori per contrastare il lavoro nero appaiono quelle di natura economica o fiscale.
(Il CCNL sulla disciplina del lavoro domestico e le sue prospettive future)

Ulteriori dati emergono dalle interviste somministrate ad un campione di oltre 1.700 famiglie di datori di lavoro domestico a livello nazionale. Dalle risposte ai questionari emerge che per il 70% delle famiglie interpellate, la spesa complessiva per il lavoro domestico regolare rappresenta circa il 30% del bilancio familiare complessivo; mentre per un quarto delle famiglie tale spesa supera il 30%.
Accanto ai costi del lavoro regolare, le famiglie sostengono a volte anche costi aggiuntivi, come vitto e alloggio (nel 31,3% dei casi), mezzi di trasporto locale (29,9%), utenze telefoniche o internet (23,9%). Inoltre, il 9% delle famiglie dichiara di aver affrontato le spese per l’adeguamento della casa in funziona della convivenza con il lavoratore. E, infine, in alcuni casi, emergono spese amministrative per la residenza del lavoratore (4,1%) o spese sanitarie (2,0%).
A fronte dei costi sostenuti per il lavoro domestico, circa il 90% delle famiglie intervistate dichiara di poter contare unicamente su fondi propri. Solo l’11,6% delle famiglie riceve, infatti, sovvenzioni pubbliche per il lavoro domestico; tra queste la più frequente è l’indennità di accompagnamento (usata nel 59,4% dei casi), seguita dalla pensione di invalidità civile (33,3%); mentre meno diffusi risultano gli assegni di cura (regionali o comunali), l’home care premium e i voucher baby sitter.
Al contrario di ciò che si rileva per le sovvenzioni pubbliche, più frequente è invece l’uso delle detrazioni fiscali sul costo del lavoratore, anche se il 69,3% delle famiglie vorrebbe “scaricare” di più la spesa per il lavoratore domestico e il 26,7% ritiene che tali detrazioni rappresentino un aiuto inconsistente.
(L’impatto socio economico del lavoro domestico sulla famiglia)

A livello europeo, secondo la Rilevazione sulle forze lavoro condotta da Eurostat nel 2015, si stimano in oltre 2 milioni gli occupati aventi le famiglie come datori di lavoro (collaboratori domestici, cuochi, camerieri, governanti, baby-sitter, badanti ecc.). Di questi 2 milioni, circa il 63% sono impiegati in Italia (prima in questa classifica con il 34,6% del totale) e la Spagna (28,1%).
Mediamente nell’UE a 28, secondo le elaborazione della Fondazione Leone Moressa, si registra un quota pari al 4,7% di lavoratori nei servizi, residenziali e non, sia pubblici che privati, a fronte dell’1% dei lavoratori aventi le famiglie come datori di lavori. Tale andamento si ribalta invece nel caso dell’Italia (ma anche della Spagna), dove il lavoro domestico prevale (3,5% del totale dei lavoratori) rispetto a quello registrato nel sistema dei servizi (2,5%). Ciò viene imputato al nostro modello di welfare in cui la famiglia sopperisce alla scarsa offerta di servizi e dove un ruolo preponderante è ricoperto dai trasferimenti monetari statali e locali.
(Le politiche sul lavoro domestico in Italia alla luce della Convenzione ILO n.189/2011. Situazione italiana e confronto internazionale)

 

 

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